Cari lettori,
in
questo momento di brutte notizie sulla guerra del fronte ucraino c’è
poco da pensare di buono se non sperare che i negoziati abbiano esito positivo.
Ci rallegriamo comunque che la Pandemia di COVID 19 stia regredendo
velocemente e che presto avremo, forse, una vita quasi normale.
Mi
sembra utile e rassicurante diffondere la conoscenza del “Club dei
riparatori”, nato in Argentina pochi anni fa e ormai diffuso a livello
mondiale che cerca di spezzare il ciclo perverso della obsolescenza programmata
che porta a buttare quanto si rompe per ricomprarlo.
Al contrario la filosofia del Club è “aggiustare tutto per buttare meno”.
Hanno
avviato tale circolo virtuoso facendo incontrare persone in possesso di oggetti
rotti con altre capaci di ripararli che fossero anche disposte ad insegnare
come farlo, gratuitamente. Dopo pochi incontri nei quali le cose andavano
sorprendentemente bene, i partecipanti hanno continuato ad aderire a questi
incontri definiti “open source” e hanno creato un Movimento di Riparatori
e Utenti, tutti volontari.
Questo sistema operoso fa di tutto per allungare la vita degli oggetti evitando che diventino rottami anzitempo così combattendo la cultura dello scarto; ragionamento quanto mai utile in quanto – se buttiamo troppo – generiamo più rifiuti di quanti il pianeta sia in grado di sopportare.
L’energia
che si crea in tali eventi è indescrivibile perché non solo si aggiustano le
cose, ma si riallacciano i legami tra le persone che – durante la Pandemia – si
sono ulteriormente sfilacciati e necessitano pure essi di una sistemazione.
Inoltre
con gli scenari di guerra che lambiscono l’Europa mi sembrano questi
ragionamenti virtuosi quando mai opportuni.
Credo
che ci siano già collettivi simili anche in Italia e mi piacerebbe sapere dove;
in ogni caso il concetto principale da diffondere o rafforzare mi sembra quello
di una cultura capace di prendersi cura delle cose e delle persone, con
particolare attenzione alla sostenibilità.
Un caro saluto
e a presto con altre riflessioni,
Clelia
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